martedì 29 novembre 2011

 


      A volte capita di scontrarsi in vite di cui non c’è molto da raccontare, anche se certo ogni vita in quanto tale vale la pena di essere vissuta. E poi, ci sono quelle vite che con neanche 30 anni di esistenza lasciano 100 anni di ricordi, rammarici. Si rammarici, ci sono anche quelli, perché citando Leopardi “rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti …”. Già,  perché in quella vita c’era beltà e non solo nell’aspetto ma di animo umano e soprattutto c’era talento. Quel talento che spiccato liberamente il volo  è stato colpito a pochi passi da uno sposalizio, qualcuno disse che è stato un incidente, un caso… che peccato !
Quanta beltà sprecata !


Brandon Lee nasce per percorrere il sentiero della recitazione. Un desiderio sorto dall’età di 5 anni, era ciò che era abituato a dire ai genitori che sarebbe andato a fare. Recitare era tutto quello che ha sempre voluto fare e a cui ha dedicato la vita impegnandosi in una seria formazione di attore. Perché recitare implica persone e situazioni umane e siccome per un attore interpretare lo stesso ruolo è noioso, voleva cimentarsi in generi diversi dall’ azione alla tragedia, dalla commedia al thriller, recitando in dei film ma anche a teatro. Lavorava duro Brandon, rifaceva le scene mille volte fino a che non avrebbe ottenuto ciò che aveva immaginato, la sua innata curiosità lo portava a lavorare con ogni figura coinvolta nella realizzazione del film, dallo sceneggiatore ai produttori, per fino con i truccatori, inglobando nella pellicola le proprie idee e fornendo stimoli nuovi. Perché la realizzazione di un film era un lavoro di squadra e lui cercava di dare sempre il meglio. Quello che gli piaceva di più dei film era ciò che insegnavano dell’esperienza umana. Chi ha lavorato con lui ha detto che quando Brandon iniziava a recitare si percepiva il potere che scagliava nella stanza.


Brandon, sempre carino, con animo gentile ed educato ma anche diretto. Viveva la vita tutta d’un fiato senza mai sprecare nulla e senza paura, forse un atteggiamento appreso dal padre che una volta disse “il tempo è la cosa più preziosa che una persona abbia”. Brandon,  di certo quel tempo non lo ha gettato, determinato a raggiungere i propri scopi. Era un burlone, amava scherzare facendo collassare dalle risate tutti quelli che gli stavano attorno. E Brandon il romantico, una settimana prima della morte una persona di spirito gli chiese a proposito dei suoi programmi dopo il film e lui facendo l’occhiolino disse “la produzione inizia il 17 aprile, è stato già tutto lanciato, e continuerà per almeno 50 anni, mi sposo”, peccato che il destino avesse altri piani.  Avrebbe voluto essere come il suo idolo Mel Gibson, perché capace di interpretare generi diversi, ma gli sarebbe piaciuto anche essere diretto da Martin Scorcese e Oliver Stone. Per l’azione amava i film di John Woo, era un grande fan di Sammo Hung e Jackie Chan. Da ragazzo adorava i libri di David Rape e il suo sogno era di interpretare un suo dramma, Hurlyburly. Era attratto da quei ruoli dove la vita sbanda di controllo. I suoi film preferiti erano Being There e Mendy. Amava il film Harold & Maude, tanto che girava con una Cadillac carro funebre in loro onore, ma anche i Film di Fellini, in particolare 8 e mezzo.


Era orgoglioso di essere il figlio di Bruce Lee, la leggenda delle arti marziali ed era anche felice che le persone lo ricordassero dopo così tanto tempo per le cose belle che aveva fatto nella vita. Tuttavia, ha dovuto lottare con la pesante ombra del padre diventato icona, cercando una propria libertà, perché tutti lo relazionavano a lui, perfino i fans di Bruce Lee lo consideravano come colui che avrebbe portato avanti l'eredità del padre, in qualche modo lo spirito di Bruce era ancora vivo e riviveva nel figlio. Così Brandon si era abituato ad avere una virgola dopo il suo nome: Brandon, il figlio di Bruce Lee. Nell’adolescenza le cose non erano facili, i ragazzi lo affrontavano per dimostrare che sarebbero stati capaci di  battere il figlio di Bruce Lee e a quel tempo Brandon non aveva un bel carattere, di certo non si tirava in dietro. Con il passare del tempo incominciò ad accettare senza più soffrire di non poter fare delle scelte in base al padre perché se avesse preso una strada diversa, tale percorso sarebbe stato comunque causato dalla figura paterna ed ammettendo che se avesse avuto un figlio avrebbe voluto che prendesse la sua strada per essere felice. Così, Brandon cercava solo di fare il proprio lavoro ed era felice così.


Ad ogni modo, gli offrivano sempre film d’azione con ruoli relazionati al padre, in film scritti per il padre, o di addirittura interpretare il padre in un film dedicato alla sua vita e carriera. All’inizio Brandon rifiutò, poi accetto anche per farsi conoscere dal mondo di Hollywood, ma a patto che i film contenessero anche un percorso del personaggio con una storia da raccontare e che non fosse solo esercizio fisico e basta, esclamando che il motivo per cui faceva film era la recitazione e non per dimostrare le sue abilità fisiche. Brandon provava di avere delle formidabili capacità di arti marziali sviluppate fin dalla tenera età. Quando incominciò a muovere i primi passi il padre gli insegnò le arti marziali nel giardino dietro casa. Infatti, Bruce era un allenatore fanatico e le arti marziali erano parte della famiglia Lee. Quando Bruce morì, Brandon smise di allenarsi per poi ricominciare 5 anni dopo con un allievo del padre, Dan Inosanto. Nonostante affermasse di essere diverso dal padre, avendo vissuto in un altro paese (in America) e avendo ricevuto influenze diverse, le arti marziali erano sicuramente l’influenza più forte che avesse ricevuto da Bruce e che lo legava a lui ma puntualizzando che la carriera di attore era qualcosa che aveva inseguito da solo. 
Tuttavia, Brandon rimaneva dubbioso ad accettare film d’azione perché non voleva essere identificato con il ruolo fisso del martial artist, voleva cimentarsi in generi diversi, non voleva usare la fama del padre ma voleva costruirsi un proprio nome da solo. Inoltre, bisogna ricordare che Brandon non ha mai condiviso i propri ricordi del padre con la stampa perché la considerava una violazione della sua vita privata e preferiva tenerli per se. Brandon, non si considerava nemmeno difensore del Jeet Kune Do, arte ideata dal padre, perché pensava che quest’ultimo avesse avuto molti allievi che sarebbero perfettamente stati in grado di perpetuarlo. Piuttosto, il desiderio di Brandon era un giorno di fare un film sulle arti marziali lasciando qualcosa di proprio ma anche di raccontare il vero significato dell’arte marziale che non è la violenza, come solitamente si vede nei film d’azione, ma pace e miglioramento interiore, sottolineando che quando nel kung - fu si superano delle barriere, tale superamento avviene  anche interiormente, imparando qualcosa su se stessi. Brandon auspicava anche di diventare per metà un modello asiatico per poter raccontare la vera storia della propria gente.


Dopo i primi tre film nel 1992 in Rapid Fire, la prima pellicola delle tre programmate con la 20th century Fox, s’incomincia a vedere il tocco di Brandon, dove i movimenti sono personali perchè le lotte di arti marziali sono tutte coreografate da lui, portando alcuni sapori del cinema di Hong Kong in un pellicola americana, qualcosa che non si vede abitualmente ed è sicuramente un’innovazione.
Ma è nel 1993 che gli occhi di Brandon si illuminano quando ha l’occasione di interpretare Il Corvo, un film che si basa sul fumetto di James O’Barr, e che avrebbe sancito un radicale cambiamento, l’opportunità di liberarsi dell’ombra del padre, lasciando al suo talento di spiccare il volo ed essere solo Brandon Lee senza nessuna virgola dopo il nome.
Una pellicola amata da Brandon perché dava l’opportunità di cimentarsi contemporaneamente in diversi generi partendo dal drammatico, passando dal thriller fantasy con anche un po’ di dark humor. Era il film perfetto, c’erano tutte le componenti che evidenziavano l’eclettico talento di Brandon: c’era la storia, c’erano i diversi generi, c’era l’azione con pochissimi accenni di arti marziali (ancora coreografata interamente da lui) ma soprattutto c’era la recitazione che risaltava su tutto il resto.
Un film interessante che dava spazio all’emotività del personaggio, ma era anche una sfida per Brandon perché nessuno sa come si comporta una persona tornata dalla morte, non ci sono regole, o meglio ci sono ma era Brandon che doveva inventarle, quindi il tutto dava grande spazio alla creatività.
Brandon lavora assiduamente facendosi coinvolgere ad ogni livello della produzione, parlando con i sceneggiatori, gli attori e i  produttori, esprime le sue idee che saranno inglobate nel progetto e che permetteranno di progredire nella realizzazione della pellicola dando nuovo spunto e motivazione. Una dedizione che porterà lo stesso padre del fumetto James O’Barr  ad ammettere che se il film era molto simile al fumetto originale lo era grazie a Brandon che ha avvicinato la pellicola alla storia originale e che si è cucito addosso il personaggio come nessun altro avrebbe saputo fare. 
Era sulla strada per diventare un grande !
Purtroppo, Brandon muore colpito da una pallottola vera, durante le riprese dell’assassinio del suo personaggio, quando le scene più importanti erano già state girate, mancavano solo 9 giorni per finire il film.  Così, mentre tutti vengono assaliti da un senso di profonda ingiustizia ed amarezza, Brandon lascia i suoi 28 anni, beffardamente compiuti il primo giorno di riprese del film, una fidanzata che avrebbe sposato due settimane dopo, una madre e una sorella,  per  incontrare il padre Bruce a Seattle.


Una volta Brandon disse che il più grande rammarico che aveva in merito a suo padre era che quando è scomparso il suo ultimo film non era nemmeno ancora uscito e non ha mai potuto vedere l’enorme sensazione che ha creato nelle persone. Inoltre, nessuno avrebbe mai saputo cosa avrebbe fatto. Tutti lo ricordano come leggenda delle arti marziali ma magari avrebbe fatto altro, film diversi non solo usati per diffondere le sue idee sul kung-fu, ma avrebbe anche recitato, magari sarebbe diventato un autore, un pensatore.
Penso di Brandon esattamente quello che lui pensava del padre: non sapremmo mai cosa avrebbe fatto poi. C’è l’amarezza che lui non abbia mai visto quanto il suo ultimo film sia amato da generazioni di giovani che riconoscono Brandon Lee e basta, senza nessuna virgola dopo il suo nome.
Sicuramente Brandon si sarebbe cimentato in film di diverso genere senza mai annoiare o ripetersi, avrebbe lavorato duramente curando ogni dettaglio fianco a fianco ad ogni membro del team dando idee proprie ed innovazioni. Per ottenere un prodotto finito, una pellicola che insegnasse qualcosa sull’esperienza umana. Forse sarebbe diventato per metà un modello per gli asiatici, raccontando la vera storia della sua gente che era sempre stata legata allo stereotipo della mafia, dei trafficanti di droga con ruoli secondari. Probabilmente non avrebbe smesso di fare film d’azione, anche perché non era completamente il suo desiderio, piuttosto avrebbe fatto un film sulle arti marziali  portando qualcosa di suo, lasciando qualcosa di personale, di innovativo, ma che insegnasse anche il vero significato dell’arte marziale, il miglioramento personale. Tuttavia, non avrebbe mai tralasciato la cura del personaggio, un carattere che avesse una storia da raccontare, un percorso.
Perché per lui questo voleva dire recitare ed essere un attore.
E’ indubbio che i talenti di Brandon fossero molteplici mostrando anche un lato filosofico che si diffondeva nei sui pensieri e riflessioni sul significato della vita, forse tutto ciò lo avrebbe portato ad essere un pensatore.


Durante un’intervista Brandon affermò che accettava la parte di un film solo se leggendo il copione scorgeva un collegamento tra se stesso e il personaggio e se tale relazione non c’era anche la storia più bella sarebbe stata scartata, perché non poteva sforzarsi di essere qualcosa che non era.  Quindi ritroviamo un po’ di Brandon in tutti i suo personaggi: Brandon Ma, Michael Gold, Johnny Murata, Jake Lo ed Eric Draven


Fino alla fine Brandon è rimasto uno di noi, un ragazzo con un cuore genuino, era quello che era,  non intaccato dai vizi e capricci di Hollywood.


Ciò che ci resta di Brandon  sono i prodotti finiti germogliati dal seme del suo talento di attore, ma le sue opere non sono solo i film ma lo sono anche le sue parole che rileggiamo nelle interviste, o negli aneddoti riportati dalla gente che lo ha conosciuto, questa è l’eredità che il cuore genuino di Brandon ci ha lasciato.


Questo sito, Brandon Lee Legacy, vuole dare un piccolo contributo per ricordare Brandon quando era in vita come una persona carina, educata, di animo gentile, con un caldo sorriso e un cuore genuino, tenendolo vivo nel cuore di quelli che non hanno avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, e di quelli che lo hanno conosciuto, amato e mai dimenticato.


Una notte, quando con sconforto il mese di marzo si accingeva alla fine,  pensai a Brandon e le parole di Pericle lette di sfuggita diedero un senso 


Ciò che si lascia dietro le spalle non è inciso in monumenti di pietra ma è intessuto nelle vite degli altri ”.  


In questi luoghi troveremo il sorriso di Brandon e la sua eredità.


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